Museo Académie Vitti: dalla Ciociaria a Parigi ricorda la Ville Lumière

storie_13-12-15È ormai assodata, nella storia dell’arte, la fama delle donne ciociare come modelle dei pittori. È noto, infatti, che venissero da quella terra le donne che, per la loro bellezza florida e soda, i pittori a cavallo fra Otto e Novecento prediligevano per la loro pittura. Erano donne (e anche uomini talvolta) che venivano dalla campagna e che impersonavano un tipo fisico adatto a una pittura che si sta lasciando alle spalle gli eclettismi del quadro di storia antica e che si stava affacciando alla vita delle campagne e dei suoi abitanti. Sulle loro fisionomie, infatti, si è costruita quella che Federico Zeri aveva intelligentemente ricostruito in un famoso saggio come la “percezione visiva dell’Italia e degli italiani”, ovvero quel mito dell’italianità, tanto cara agli stranieri in visita al bel paese, fatto di un paese assolato, abitato da briganti romantici e da gente rurale di innata bellezza.

Un’immagine, o meglio un carattere, che rimanda a un immaginario antropologico talmente radicato da essere ancora vivo persino in certe case di moda che puntano più di altre sullo stile “italiano”, intendendo la penisola come un esteso Meridione immerso in una tersa primavera.

Era un mito, questo, che non mancava ovviamente di un fondamento storico, sebbene si tratti di una storia, a metà strada fra gli strumenti dell’indagine sociale e quelli più specifici della ricerca storico-artistica, fra le più difficili da ricostruirsi. Difficile, ovviamente, ma non impossibile: anche la storia più minuta, infatti, lascia qualche traccia più o meno filtrata. Nella pubblicistica di inizio secolo, ad esempio, non mancano articoli che sui periodici di argomenti artistici e letterari parlano delle modelle e dei modelli ciociari, talvolta dilungandosi sulle storie più significative e con qualche immagine: si potevano vedere, per esempio, le fisionomie che i pittori avevano usato per raffigurare Cristo nelle scene di tema sacro, le fanciulle che erano diventate ninfe od odalische o, più avanti, semplici rappresentazioni in costume di se stesse. È da articoli di questo genere, frequenti nella prima metà del Novecento come un vero e proprio genere letterario destinato a un pubblico curioso di conoscere dietro le quinte la vita artistica,che spesso si ricavano le storie e i nomi dei modelli.

Costituisce un vero e proprio patrimonio, per capire una storia di questo genere, la collezione riordinata ed esposta oggi nel museo “Académie Vitti”, come la celebre accademia privata parigina a cavallo fra fine Otto e inizio Novecento, creato nell’agosto 2013 da Cesare Erario nel comune di Atina (Frosinone). Per quei casi strani che sempre più di frequente si verificano sulle rotte della storia dell’arte, infatti, per studiare un tratto non di poco conto della vita artistica di Parigi prima della Grande Guerra non ci si deve recare nella capitale francese, ma nella profonda provincia di Frosinone. Da qui infatti era partita, e qui è poi circolarmente si è chiusa, la storia delle sorelle Maria, Anna (o Annette) e Giacinta Caira, che sono le tre grandi protagoniste di questa vicenda.

La storia dei modelli e delle modelle di fine Ottocento, infatti, sono spesso storie di fame, di vite difficili che trovano nel mondo artistico un’originale forma di sostentamento prima e un singolare mestiere poi. E soprattutto, quasi sempre si tratta di storie di migranti che abbandonano le terre d’origine, specie per il Centro Sud, per spostarsi verso le grandi capitali europee o statunitensi in cerca di fortuna. Alcuni di loro, a Parigi o altrove, si inventano un mestiere che al proprio paese non avrebbero potuto svolgere, ma che per il quale all’estero, in quanto italiani, hanno una carta in più da giocarsi: diventano modelli per i pittori. Studiare le loro storie, al crocevia fra storia e storia sociale dell’arte, dice qualcosa del mondo artistico e di come si intrecciassero a più livelli relazioni fra artisti, scrittori e bassifondi della società dell’epoca. In alcuni casi diventano storie emblematiche: alcune di loro, come Kiki de Montparnasse, diventeranno delle vere e proprie icone di un mondo brillante e sregolato, dove sono nate le avanguardie e dove molte vite si sono bruciate prematuramente nella passione.

In questa cornice si inserisce la storia delle sorelle Caira, di cui una prima ricostruzione esplorativa, che porta a conoscenza una messe di documenti d’archivio non ancora conosciuta, è stata tentata in un volume edito dal museo stesso nel 2015 a firma di Cesare Erario ed Eugenio M. Berager e intitolato Académie Vitti 49 Boulevard du Montparnasse Paris. La storia e i protagonisti (1889-1914). Una storia che si basa sulla ricca messe di lettere, cartoline, materiale grafico e fotografico custodito oggi dal museo di Atina, ma che lascia tracce del suo passaggio anche fra le carte di influenti intellettuali dell’epoca: di Annette e Maria, e non solo di loro, si ritrovano lettere persino nel fondo di Adolfo De Carolis oggi alla GNAM di Roma o fra le carte oggi a Firenze di Papini, che ad Annette dedicherà persino una memoria postuma chiamandola, sulle pagine de Il Messaggero, “La bella di Montughi” (1 agosto 1948).

A Parigi, le tre sorelle hanno per vie diverse a che fare con il mondo artistico: Giacinta, per esempio, da modella diventerà pittrice; Anna (talvolta francesizzata in Annette) sposerà il nobile scrittore e collezionista Henri des Prureaux; mentre Maria sposerà nel 1889 un conterraneo, Cesare Vitti, con cui nello stesso anno aprirà a Parigi un’importante scuola privata di disegno, pittura e scultura, l’Académie Vitti appunto, riservata alle fanciulle che non potevano accedere, allora, alle accademie di belle arti statali, e che resterà aperta fino allo scoppio della Grande Guerra. Una realtà molto viva, quella delle accademie private, in cui volentieri si sono annidati i primi focolari delle avanguardie fin de siècle. Non è dato di poco conto, se è giusta l’interpretazione di una lettera indirizzata a George Daniel de Monfreid da Paul Gauguin nel maggio 1899, che il maestro dell’esotismo tahitiano sia passato come docente, intorno al 1890, dalle aule dell’Académie Vitti. È invece un dato certo che Gauguin era comunque in rapporto con la famiglia Caira, perché Papini, nell’articolo prima ricordata, dichiarava che proprio nella casa fiorentina di des Prureaux, ormai vedovo dal 1916 della bella Annette, aveva visto per la prima volta dal vero dei quadri di Gauguin , che il collezionista doveva aver portato con sé a ricordo degli anni di boheme parigina.

Se Annette muore troppo giovane, a Venezia, per giungere alla fine di questa vicenda, Maria e Giacinta hanno modo di tornare al paese natale, Atina, portando con sé quello che resta dell’Académie francese: montagne di disegni, che nelle mutazioni dello stile permettono di capire i riflessi del gusto e degli stili moderni anche nelle più canoniche “accademie” di nudo, i dipinti di Giacinta, alcuni arredi, e numerose fotografie anche d’autore (non ultimo i ritratti di Nadar). Vi si vedono Maria, Annette e Giacinta giovani in posa: le foto che le ritraggono sono spesso la base da cui partono poi i cimenti dei pittori. Ecco quindi le tre giovani abbigliarsi alla greca, pronte a migrare in opere di gusto ancora latamente neoclassico, o indossare gli abiti tradizionali delle feste che hanno portato dalla Ciociaria. Ma anche a Parigi, le sorelle Caira rimanevano intimamente italiane: i pittori le amavano perché sul loro volto vedevano splendere, ancora, il sole del Mezzogiorno.

∴ Autore: Luca Pietro Nicoletti
∴ Fonte: Milanoartexpo.com