Fontechiari

fontechiariNel 937 appariva il castello “qui dicitur Sclavi”, il primo della Val di Comino, necessario a proteggere gli abitanti del luogo dai ripetuti attacchi di predoni, saraceni e normanni. L’abitato si presentava circondato da una solida cinta di mura poligonali, con feritoie, che limitavano il perimetro del paese al quale si poteva accedere attraverso le porte di San Nicola e della Valle.

Nonostante i secoli, passeggiando per Fontechiari si respira un’atmosfera che sa d’antico grazie ai suoi vicoli stretti e in pendio, dominati dall’imponente torre ristrutturata dai duchi Boncompagni, che la dotarono di una scala d’accesso in pietra e di due passaggi segreti. In questi anni furono costruiti alcuni palazzi signorili e la chiesa di San Giovanni. Nel 1736 Lorenzo Giustiniani nel suo Dizionario Geografico Ragionato definisce questo borgo «pittoresco» e «sistemato sopra una collina dove si respira buon’aria».

Immerso nei boschi sorge il suggestivo Eremo di San’Onofrio, costituito da una ampia grotta divisa in più subambienti, che conserva una chiesa, una piccola pozza d’acqua miracolosa, dipinti di santi e pitture rupestri. La quiete e il misticismo del luogo ispirarono anche San Francesco d’Assisi che lo scelse come luogo di preghiera durante il suo soggiorno a Vicalvi. Ma i boschi, oltre ad essere luogo di preghiera e meditazione, furono anche rifugio per la banda del Brigante Chiavone, che il 10 maggio 1862 invase e saccheggiò il paese.

Sempre nel 1862, un decreto reale autorizzò il Comune a denominarsi Fontechiari. Fino ad allora si chiamava “Schiavi”, in ricordo delle popolazioni slave (“Sclavus et Sclavones”) che si stanziarono in Italia dopo essere state scacciate dagli Ottomani.